Il racconto di Gaza e dei suoi tunnel, mappa di un’ostinazione e di un odio tracciato sotto il suolo per decenni obbliga a delle domande.
E’ difficile capire quando l’assalto di Hamas del 7 Ottobre potesse essere evitato. Si racconta di una terra nido di conflitti, dove una guerra morente diventa terreno fertile per la successiva, con un racconto d’odio che si passa il testimone di generazione in generazione.
Cisgiordania e Gaza, due nomi e un problema, la rappresentazione capovolta dello stesso dramma. In quella che gli anglosassoni chiamano West Bank, la Cisgiordania, la ferita perenne degli insediamenti da parte di Israele, ostinati, con la terra che viene ceduta ad una forza insistente e irrefrenabile. Una frana lenta e possente. Un tempesta a piccoli passi destinata a cambiare tutto, nei pensieri di chi l’ha sognata prima e l’ha vista realizzarsi dopo, passo dopo passo.
L’ostinazione degli israeliani in Cisgiordania ha un’antagonista di almeno pari lignaggio a Gaza: è l’ostinazione con cui Hamas ha raccontato in anticipo l’epica della propria resistenza scavando cunicoli, tunnel e gallerie, come se il mondo si potesse vedere e comprendere meglio dal basso, nella profondità della Terra. Camere nascoste, magazzini, arsenali e vie di fuga. Così, per decenni. Chi scava per decenni ha intenti e disegni non diversi da chi, con la medesima caparbietà cerca di prendersi la Cisgiordania là fuori, e mettersela in tasca. Scavi e non pensi alla pace, neanche l’immagini. Scavi nel proprio rancore e sai che non troverai luce. Fina a quando quell’opera immane e mostruosa non sarò pagata con il giusto prezzo. E a Gerusalemme sapevano. Il punto cruciale è questo.
Sapevano tutto, hanno lasciato fare
Se togli al terra al tuo vicino, e il tuo vicino scava la terra è per seppellirti una volta per sempre. Israele ha compreso benissimo il disegno dietro questo spaventoso affanno, mentre la spaventosa sottrazione di terre, metro dopo metro continuava. E a Gaza si scavava, metro dopo metro. Bene, chi accetta questa dinamica si prepara, inevitabilmente alle estreme conseguenze. Per questo l’accaduto del 7 ottobre era un evento già scritto e conosciuto, come un destino cercato e messo spalle al muro dagli stessi protagonisti della contesa, ognuno per la sua parte.
E una certa logica lascia pensare che Israele ha giocato le proprie carte sull’odio di Gaza, lasciandolo incancrenire invece di curarlo. Qualcuno alla Knesset ha pensato che dal momento della rottura gli eventi si sarebbero messi favorevolmente. Hamas avrebbe fatto uscire il proprio odio dai tunnel, combinando disastri, per i quali Gerusalemme aveva già messo in conto il prezzo da pagare. La Cisgiordania sarebbe stata la giusta compensazione per quanto Hamas avrebbe commesso, prima o tardi. E quel giorno è arrivato, in Ottobre.
Ma tutto è sfuggito di mano, agli uni e agli altri. L’ atto di ostilità di Hamas su quale speculare con freddezza si è trasformato in un eccidio che ha imposto una reazione esemplare e non meno folle da parte di Israele. Una resa dei conti a misura dei contendenti, una sanguinosa faida regionale si è trasformata in una guerra, dove Israele sembra aver perso il filo della propria strategia. E si è comportata ad un tratto come un cieco che per farsi luce, accende un fiammifero in una polveriera. Da quel momento i fuochi nel cielo non sono festeggiamenti ma il prologo dell’ultimo saluto per chi resta ancora vivo, ostaggi compresi.