La bella filosofia che distrugge Gaza

Jürgen Habermas, allievo di Adorno e Gadamer, uno dei principali esponenti della Scuola di Francoforte ha parlato di Gaza.

Non compare spesso sulle prime pagine della stampa il filosofo tedesco Jürgen Habermas. Non lo conosce nessuno, se vogliamo fare riferimento al misero bagaglio di conoscenze dell’uomo comune. Ma improvvisamente il signor Habermas lo vediamo trattato come un’illustre ovvietà, presentata al pubblico con credenziali che, viene lasciato intendere, possono essere omesse, tale è la sua grandezza.

Bombardamenti Gaza la situazione
La bella filosofia che distrugge Gaza-Credit ANSA-Rationalinternational.it

 

E’ per merito di una breve dichiarazione a favore dell’intervento di Israele su Gaza che Habermas ha avuto spazio e sottintesa referenza. Leggi il suo foglietto e ti accorgi che non è niente di diverso da un piccolo proclama di oscena ovvietà, un ciclostile di nulla degno di un qualsiasi comitato studentesco barricato sui pretesti di turno per evitare qualche ora di lezione. Un linguaggio che riesce ad essere scarno, ambiguo e reticente, ma quel poco che lascia davvero comprendere senza ombre già basta. Ed il resto, quello che rimane astutamente nell’indistinta ombra retorica del vago è ancora peggio. Per connivenza, piaggeria e viltà. Il contrario di ciò che dovrebbe essere un filosofo. Habermas non rischia il rogo, tanto è vergognosamente ovvio mainstream e opportunista dinanzi al disastro.

Parole sciocche e pericolose

Parla dell’azione di Hamas, Jürgen, come se avessimo avuto bisogno del suo imprimatur per comprendere che si è trattata di un’idea oscena trasformata in realtà. E continua brevemente, giustificando la rappresaglia di Gerusalemme, sfiorando appena il principio di proporzionalità di cui il governo di Israele ha lasciato intendere fin dal principio di sapere cosa farsene.

bombe su Gaza
La bella filosofia che distrugge Gaza-Credit ANSA-Rationalinternational.it

 

E questo bastava, perché il senso nella misura, dovrebbe essere l’elemento portante di qualsiasi reazione capace di ricomprendere in sì la struttura di un principio morale ed un disegno conseguente, anche nella punizione. A Gaz questo non c’è: vedi e comprendi. Ma il filosofo non vede, se non l’antisemitismo ovunque, esploso come quelle luci assassine nel cielo di Gaza. E si sorprende e s’indigna, il suo genio. Mette le mani avanti, il filosofo. E affonda nella sua stessa logica. Un carretto miserevole buono appena per smerciare stracci. Una pena.

Perché così scompaiono le altre vittime incolpevoli, con uno rapporto di uno a 10 che ad un tedesco qualcosa in mente dovrebbe far venire. E invece schiuma senso di colpa per la Shoah, l’anziano relatore dei misteri del cosmo, e non si accorge che la catastrofe si misura sulle vittime, non la si certifica compiacendo le logiche di una parte, quale essa sia. Se un tempo  i lupi di oggi sono stati gli agnelli incolpevoli di un tempo oggi loro sono i lupi, e come tali devono essere pensati. Ma no, per il filosofo con il suo foglietto di giustificazioni alla mano, come uno studente che deve giustificarsi davanti al maestro, Israele non voleva fare vittime civili. E qui lo lasci stare e attendi che taccia per sempre, come la moglie di Giobbe che ebbe più pazienza del congiunto ed, esausta, lo invitava a pregare per l’ultima vola e togliere il disturbo. Ecco, voglia Jürgen fare altrettanto. Perché il suo foglietto per coprire la distruzione e la vittima di Gaza e un lieve scempio che trabocca da questo oceano di tragedia.

 

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